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[Il cinquantenario]
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- [Il cinquantenario]
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- . — Roma Rome : l’ Alleanza libertaria (1908-191),
- description technique (h × l) :
- . — 1 affiche (impr. photoméc.) : n. et b. ; 54 × 38 cm
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- descriptif :
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testo
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L’Alleanza libertaria
Il cinquantenario
Sono cinquant’anni da che i prodi soldati della Rivoluzione si cimentarono sui campi di battaglia ed affrontarono i patiboli le galere e tutte le maggiori persecuzioni delle multicolori tirannidi onde l’Italia era oppressa, per liberare la patria del giogo dello straniero ; ma il sogno di libertà che guidò gli animosi pionieri dell’indipendenza nazionale oggi non trova eco che nel fastigio ufficiale ed ufficioso delle attuali feste cinquantenarie.
Ma tra il frastuono delle commemorazioni fabbricate nei municipi e nella Reggia, gli invitati in frack ed in marsina non possono riprodurre nei loro cuori quell’entusiasmo che animava or sono cinquant’anni e prima e di poi, tutti quei valorosi che cooperarono alla unificazione d’Italia. Il cerimoniale freddo e compassato ne affoga la na uralezza, e la goffa e presuntuosa etichetta trasforma in rappresentazioni teatrali le commemorazioni dei martiri della Rivoluzione Italiana.
Son due lesi che s’inbandierano a Roma le vie, che si organizzano ricevimenti, che si offrono banchetti, si accendono luminarie in omaggio alla ufficialità che si prepone far sapere al volgo ed all’inclita che c’è nella capitale chi si occupa di festeggiare il cinquantenario della libertà.
Gente codesta, cosidetta per bene, che concilia l’anticlericalesimo patriottico di moda con le pratiche religiose, che unisce la glorificazione della libertà all’apologia della forca. Così possono i ministri della monarchia pretendere di annullare con una scorpacciata di patriottismo di nuova maniera, tutte le vergognose dedizioni al prete usate in questi cinquant’anni. Ed altrettante presumono credere i sovrani degli stati esteri che s’accingono o son già calati a visitar l’Italia, quando credono di poter in due giorni cancellare le pagine della storia e far dimenticare ai popoli che per tanti secoli essi cooperarono a quel famoso « intervento straniero » che la rivoluzione vincitrice nel 1860 distrusse per sempre.
Così le feste cinquantenarie non ponno essere che la glorificazione della menzogna e del tradimento. Ed invero sono la cuccagna di tutti i patriottoni della sesta giornata, di quelli che costumano osannare alla rivoluzione italiana con lo scapolare e la commenda al collo, con le manette in tasca e nel portafogli le sentenze contro i reati di pensiero.
Affollano le Esposizioni e viaggiano per l’Italia muniti di biglietti di prima classe a prezzo ridotto tutti i vagabondi in guanti gialli che rubano il denaro alla povera gente non con la destrezza del tagliaborse ma con l’abilità del commerciante e del padrone di casa. I quali pensano che giammai occasione più propizia si presenterà per impinguare le loto tasche, e taglieggiano quindi i contribuenti con l’audacia dei capi delle scorribande medioevali.
I capitalisti completano il quadro, aumentando i prodotti, sfruttando la cecità morale dei lavoratori fin rubando con il tricolore alla mano l’ultimo centesimo delle ormai vuotissime tasche degli abitatori delle soffitte dannati alla fame eterna ed alla tubercolosi.
Meglio di questo non riproducono i padiglioni regionali ed internazionali, il quadro veritiero della miseria perenne dei lavoratori. L’Esposizione dei prodotti italiani non sta soltanto a Roma, a Torino, a Firenze : sta dappertutto, ovunque vi sono i servi della gleba che la Rivoluzione Francese ha affrancato di nome ma non di fatto.
Ecco l’Italia tra i tripudi del cinquantenario patriottico che rammenta alle milizie irregolari di Garibaldi tutte le privazioni di allora e le miserie di oggi, ai cospiratori i patiboli del Piemonte, e dell’Austria, del Borbone e del papa-re ; all’ufficialità monarchica il denaro tratto dalle sconfitte di Lissa e di Custoza, dal servaggio nuovo imposto agli italiani che volevano reggersi a potestà repubblicana
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I lavoratori hanno però saputo anch’essi conoscere il loro bravo cinquantenario, ed alle brigantesche speculazioni del capitalismo avaro hanno risposto taglieggiando lo borghesia ed i patriottardi, facendo costare loro assai salate le baldorie patriottiche.
Mentre i partiti politici non sanno che ripetere la propria di loro codarda inoperosità, il movimento operaia odierno dà l’indice di una intensa e meravigliosa attività.
I padroni dicevano che la classe operaia avrebbe risposto con slancio all’appello della patria, ed avrebbe almeno per un anno taciuto i suoi dolori pur di dare mostra imponente di una unanimità patriottica. I lavoratori hanno invitato a dar essi, i capitalisti, questa prova di calma patriottarda dando agli sfruttati il modo di far tacere i crampi dello stomaco affamato, migliorando le loro condizioni, almeno nel 1911.
Ma il capitale, di natura avaro ed insensibile alle più umane aspirazioni, ha risposto negativamente alle giuste pretese della classe lavoratrice la quale ha dovuto quotidianamente insorgere con l’arma dell’agitazione e dello sciopero vincendo reiteratamente l’usuraia caparbietà capitalista.
Così la riscossa contro le mene affamatrici dei padroni e degli speculatori dei generi di prima necessità, invano tentata da quella morta gora che sono gli stessi partiti estremi, ha avuto un principio d’attuazione nelle splendide lotte combattute contro il capitalismo dalle organizzazioni operaie.
E qui sta il nocciolo della questione. Fintanto non saranno mutate le basi dell’ordinamento economico e politico vigente, tutte le pretese dei politicanti per abbattere l’egemonia del capitale culminante nel rincaro del prezzo della vita staranno lettera morta. C’è un mezzo solo per debellare gli affaristi o, per lo meno, attutire le gravi conseguenze delle loro gesta.
La classe operaia stia perennemente sul piede di guerra : essa aumenti le sue pretese mano mano che il capitalismo aumenterà le sue, cioè domandando continuamente migliorie nella corrisposta delle mercedi, e combattendo con audacia ed intensità per ottenerle a qualunque coste.
Avremo così il duplice vantaggio di giovare ai nostri interessi e di addestrare continuamente il popolo lavoratore alla battaglia contro i poteri economici e politici dello Stato. In questa continua situazione antagonistica di fatto tra oppressi ed oppressori sta il segreto della vittoria allorchè gli anarchici crederanno opportuno scendere in piazza a dare l’ultima spallata a questo tarlato edificio che si regge sui puntelli della presente umana viltà.
Lo splendido agitarsi delle folle nell’attuale cinquantenario questo ci ha insegnato : che sono codarde ed inutili le chiacchiere, e che occorre porsi risolutamente all’azione se vogliamo davvero che la libertà trionfi sulla tirannide.
Non è no, un vile od un incoerente, chi si organizza, chi lotta e combatte con tutte le armi logiche che sono a sua portata di mano : è un tristo o per lo meno un inetto, chi aspetta la Rivoluzione con le mani alla cintalo ed è immerso nell’inerzia che fu sempre l’ancella indivisibile della ignoranza e della schiavitù.
L’Alleanza libertaria.
Giuseppe Ciaffarri, gerente responsabile
Tip. « Iride »Via Muzio Clementi, 70a.
sources :Pubblicato nell’Alleanza libertaria : contro ogni forma di sfruttamento e di autorità, Roma, n. 119 (18 maggio 1911), p. 4.
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